Sull’apertura delle Universiadi di Napoli
Attenzione, non sulla cerimonia, che ho trovato splendida, almeno vista in tv. Non sul San Paolo, che in questi trent’anni è stato ostaggio delle vicissitudini di giunte comunali e società sportive sull’orlo del fallimento (nel secondo caso, arrivato) e che finalmente è tornato al livello dei grandi stadi pubblici italiani (livello non altissimo, a dir la verità). Non sulle bellezze femminili e maschili che hanno sfilato – d’altro canto, c’è di mezzo gioventù, sport e cultura: se non ci si imbatte qui in un po’ di beltà? Non sui fischi alle autorità locali – Sindaco e Presidente di Regione – che mi rattristano ma di cui si può discutere. E neppure su quelli all’ingresso delle delegazioni di Francia e Germania che, invece, non si possono non definire bestiali. Ma sulla diretta della RAI: ripetute interruzioni audio; ritorni e ritardi che hanno compromesso l’ascolto delle esibizioni canore – meglio, diranno alcuni, e posso anche concordare, visto che non sono un estimatore di nessuno degli artisti intervenuti, ma almeno mi sarebbe piaciuto (s)parlarne dopo aver ascoltato i loro pezzi; ma, soprattutto, retorica, stereotipi da guida turistica di bassa lega (Lega?), aneddoti da bar – raccontati pure male –, superficialità, imprecisioni, banalità, gag stucchevoli. E, infine, sfoggio di numeri e statistiche che, per contrasto, evidenziava il livello dei commenti non sportivi. Un livello infimo, sia dal punto di vista dei contenuti sia dal punto di vista dell’oratoria giornalistica. E il fatto che due commentatori su tre fossero napoletani non poteva essere una garanzia prima e non può essere un'aggravante adesso. Detto questo, però, se ti chiedono di raccontare di come è nata l'usanza del caffè sospeso e tu non azzecchi due parole, allora ce vonn 'e paccher!