Siamo nati per supplire. Breve resoconto emotivo del mio primo incarico scolastico


 
La mia supplenza in un istituto tecnico milanese si è conclusa un paio di settimane fa. Ora che ho smesso di rimbalzare tra Bologna e Milano come la biglia di un flipper in tilt, ho cercato di mettere in ordine e per iscritto il turbinio di sensazioni ed emozioni che si sono susseguite nel corso di questa mia primissima esperienza nella scuola pubblica. Un’esperienza, nel complesso, felice, ma ciò non di meno scandita da un senso di…

...eccitazione, nel varcare per la prima volta da docente il cancello di un istituto scolastico; nel farmi spazio tra le ragazze e i ragazzi assiepati sulla scalinata d’ingresso; nel seguire le indicazioni per la sala professori.

...insicurezza, nel ricoprire un ruolo – quello dell’insegnante di sostegno – per svolgere il quale sapevo di avere tanto se non tutto da imparare, al di là di studi universitari, incarichi accademici e doti caratteriali che, a detta dei colleghi, facevano di me un candidato più idoneo di molti altri.

...responsabilità, nei confronti dei ragazzi che affiancavo, innanzitutto, ma anche dei restanti componenti delle classi; ognuna delle quali era un caleidoscopio di carnagioni, nomi, abiti, oltre che di caratteri e umori. Insomma, altrettanti specchi di un quartiere, di una città, di un Paese che è fin troppo facile e bello, per un napoletano come me, definire di mille culure.

....insofferenza, che provavo ogniqualvolta il mio sguardo si posava sull’adesivo della Lega Nord incollato in un angolo della grande lavagna in ardesia affissa alla parete di una delle aule in cui lavoravo.

...soddisfazione, nell’osservare le ricadute concrete, in termini di apprendimento, delle ore impiegate con e per i ragazzi che seguivo; ma ancor prima nell’essere riuscito a entrare in relazione con loro. Credo fosse questo l’aspetto che mi preoccupava maggiormente e che di conseguenza mi ha gratificato di più.

...stupore, nel sentire le gratuite, reiterate e fantasiose bestemmie che risuonavano tra i corridoi, le scale, i piani dell'edificio e le risate dei ragazzi. Soprattutto tra queste ultime, per fortuna.

...gratitudine, nei confronti delle colleghe e dei colleghi che mi hanno teso la mano - e preso per mano, quando ce ne è stato bisogno - durante queste cinque, intense settimane costellate di prime volte. Persone che è stata una fortuna conoscere ora, ma che sarebbe stato ancor più prezioso incontrare quando ero io a sedere dall’altra parte della cattedra.

...intontimento, che sopraggiungeva, puntuale, allo scoccare delle 15.00, esattamente dodici ore dopo il suono della sveglia, e a causa del quale, in metro, in autobus o in treno, sulla via del ritorno, ho rischiato più volte di finire chissà dove o di non partire affatto.

...compiutezza, che mi ha pervaso nell’istante in cui ho scoperto che l’ostello dove pernottavo quando il suddetto intontimento prendeva il sopravvento, rendendo arduo mettersi in viaggio, si trovava all’angolo di via... Alunno!

...dispiacere, nel constatare che forse non mi capiterà più di scorgere il Meazza dalle finestre della 5MA; che forse non ascolterò più il “grazie”, sussurrato con genuina riconoscenza da Biagio, o il “va bene”, pronunciato, non senza riluttanza, da Mattia; che forse non avrò più l’occasione di discutere appassionatamente di scuola e università con Carla, Sabrina, Mara o Vincenzo, e di farlo proprio in quell’aula docenti.

Già, perché a tutti questi sensi ne andrebbe aggiunto un altro, quello di incertezza. Ma fa parte del gioco e bisogna farsene una ragione: siamo nati per supplire.



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