Mamma, papà e i fonemi
In un articolo pubblicato su Repubblica, l’antropologo Marino Niola osserva che le parole per indicare madre e padre si somigliano in lingue tipologicamente anche molto distanti: "in inglese mom e dad, in tedesco mama e papa, in francese maman e papa, in greco mamá e mpampás, in russo mama e nana, in turco anne e baba, in caucasico naana e daa. E in hindi maa e pipà". Ancora, e al di là del panorama indoeuropeo: "a Samoa mama e tama, alle Figi nana e tata. In singalese amma e tatta, in cinese mama e paa, in eskimese anana e ataata, in zulu umama e ubaba, in swaili mama e baba". Una somiglianza davvero incredibile, soprattutto se si aggiunge che, dal punto di vista linguistico, i suoni d, t, b e p sono fonemi equivalenti, proprio come m ed n. Ebbene, una spiegazione a tutto questo c'è, anche se è meno romantica di quanto ci si potrebbe aspettare. Come si legge in Parole in gioco di Stefano Bartezzaghi (Milano, Bompiani, 2017, pp. 39-40),
il neonato inaugura i suoi tentativi di padroneggiare le proprie emissioni vocali, a cominciare dai suoni più facili: quelli della “a”, la vocale più aperta; della “m”, la consonante che si pronuncia anche a bocca chiusa; della “p” che è un soffio che fa aprire le labbra. Ne risultano ripetizioni di sillabe come “ma” e “pa”. […] Anche il fatto che questi primi rudimenti di sillaba vengano ripetuti ravvicinatamente (ma-ma; pa-pa) ha una spiegazione. L’infante sta prendendo il controllo delle proprie emissioni vocali. I suoi primi spontanei borbottii hanno effetto su chi lo circonda; nasce la volontà di produrli non più spontaneamente e casualmente. Dico “ma”, e potrebbe essere un caso. Se però lo ripeto, il secondo “ma” prende una funzione di conferma. Il “ma” numero due significa, insomma: “prima volevo davvero dire ma”.
A questo punto entrano in campo gli adulti: siamo noi, infatti, a riconoscere una parola, che ancora non c'è, ad associare quel suono e quel significato, in base ad abitudini fonetiche, ma anche, o forse soprattutto, ad attese affettive. Perché il linguaggio, come sosteneva il celebre psicanalista Jacques Lacan, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno.