Considerazioni semiotiche su La canzone mononota
Confesso di essere un grande fan degli Elio e le Storie Tese. Li seguo da diversi anni e sono perfino riusciti a farmi vivere con trepidazione la finale del Festival di Sanremo 2013. Così, mentre La canzone mononota impazzava in rete e mi entrava in testa, mi sono detto: perché non provare a farne una piccola analisi, magari adottando uno sguardo – e un ascolto – semiotico? Ecco quello che ne è venuto fuori.
Gli effetti cognitivi, passionali e pragmatici. Dal punto di vista strettamente musicale, la canzone si rivela incredibilmente complessa e assolutamente non lineare. Le mie limitate conoscenze non mi permettono di entrare nel merito della sua struttura, ma vale la pena notare una cosa. L’ascoltatore medio, pur non riuscendo ad apprezzare fino in fondo la difficoltà di composizione ed esecuzione di un pezzo del genere, si trova coinvolto, suo malgrado, in una specie di gioco nel quale è invitato ad avanzare ipotesi – spesso disattese – su come proseguirà il pezzo. Se la struttura classica della canzone pop (strofa - ponte - ritornello) lo rassicura con il suo eterno ritorno, La canzone mononota gli fa vivere il brivido dell’ignoto: dopo ogni passaggio lo lascia sospeso tra una serie di possibilità. Questa incapacità previsionale ha il suo culmine nel falso finale. Dopo due minuti lo spettatore, ormai provato dal tentativo di mantenere il "filo del discorso", è pronto a cadere nel piccolo tranello. A questo punto il coinvolgimento da cognitivo ed emotivo diventa pragmatico: il pubblico al primo ascolto (ma non solo) è portato ad applaudire. Con il loro battere le mani gli astanti non solo sanzionano positivamente la performance ma ne divengono inconsapevolmente parte integrante.
La metareferenzialità. La canzone, in quanto oggetto sincretico, chiama in causa più linguaggi espressivi: una componente sonora (la musica) e una verbale (il testo). Questa distinzione – per certi versi banale – ci permette di cogliere meglio una caratteristica essenziale di questo pezzo: si tratta di una metacanzone, ossia di una canzone nella quale si "parla" di come è fatta una canzone. Per capirci, è un po' come un film nel quale ci viene mostrato come viene girato un film. Elio, attraverso la componente verbale, ci spiega come è possibile rendere non monotona una canzone mononota, chiamando in causa l'altezza, il tempo, il ritmo, gli accordi, ecc. e anticipa sistematicamente (anche se in modo generico) quello che sarà l’evolversi della canzone sul piano della componente sonora.
L'intertestualità. Chi conosce gli EelST sa che le loro canzoni sono piene di rimandi, citazioni e frame musicali presi a prestito da altre opere più o meno note e più o meno colte. Tutto ciò che viene preso dagli Elii finisce per essere manipolato e risemantizzato, quasi sempre a fini stranianti o parodistici. In questo caso troviamo riferimenti espliciti a fatti realmente accaduti come i tentativi di Rossini e Jobim di comporre un brano con una nota sola; oppure l’inserimento di frammenti tratti da altri generi (il samba) o opere (l’inno cubano) che rendono la canzone una sorta di patchwork musicale, attraverso il quale mettere in mostra le loro grandi doti di musicisti e arrangiatori.
La dimensione ironica. Una canzone di questo genere potrebbe sembrare uno splendido, ma sterile, esercizio di stile. Se però si prende in considerazione il contesto in cui è stata proposta, allora le cose cambiano. Si dice spesso che il Festival sia una kermesse durante la quale si ascolta e si premia "sempre la stessa musica". Ecco che, in questa cornice, La canzone mononota suona come una parodia dell’intero evento e delle dinamiche che lo contraddistinguono. Una presa in giro di compositori, cantautori e artisti che in questi anni hanno partecipato a Sanremo con brani spesso banali o già sentiti. Insomma, a fronte di tante canzoni articolate ma monotone, eccone una mononota incredibilmente originale.
Le strategie enunciative. Infine un cenno sulle strategie di enunciazione, cioè sul modo in cui è stata eseguita la canzone. Tutte le esibizioni degli EelST sono caratterizzate da una spiccata dimensione teatrale. In questo caso l'effetto ironico e dissacrante del loro brano è stato rafforzato dai travestimenti che, oltre a divertire per la loro eccentricità, arricchiscono il senso delle loro performance. Ad esempio, la trovata della fronte fin troppo alta rimanda fisiognomicamente all’idea di intelligenza superiore; intelligenza di cui ironicamente si vantano. L’idea di travestirsi da grassoni, invece, oltre a richiamare la mise dei grandi tenori, sembra essere un riferimento ai tanti palloni gonfiati che negli anni hanno calcato il palco di Sanremo.